Quando gioca la nazionale di calcio, tutti, anche chi non sa nemmeno cosa sia “La domenica sportiva”, diventano tifosi: non si può andare il giorno dopo al bar senza sapere quale risultato sia stato ottenuto per poterne discutere, anche senza alcuna cognizione di causa, con amici e conoscenti! Negli ultimi anni, con le protesi in ceramica integrale, stiamo assistendo ad un fenomeno simile: tutti ne parlano, tutti le utilizzano, tutti si improvvisano navigati protesisti, magari senza nemmeno sapere bene di cosa si parli! Perché un odontoiatra, oggi, “non può” non utilizzare i materiali più innovativi e le tecniche più all’avanguardia…!
Ciò nonostante, la confusione è, purtroppo, diffusa e ne è prova evidente il fatto che a corsi e congressi, spesso, non ci sia chiarezza nemmeno per quanto riguarda la terminologia. Come si chiamano queste ceramiche integrali? Allumina e zirconio? Allumina e zirconia? Qualcuno racconta addirittura che siano degli ossidi ma un materiale ossidato non suscita in tutti l’idea di qualcosa di consumato, danneggiato o, comunque, non eccessivamente resistente? Ebbene, chiariamoci le idee.
Come abbiamo già avuto modo di mettere in luce, l’uso in protesi odontoiatrica dell’oro e delle leghe metalliche in generale va tramontando grazie all’introduzione di materiali “bianchi” la cui estetica risulta senza dubbio più gradevole. La possibilità di eliminare la visibilità di antiestetici margini metallici è una soluzione che piace molto sia agli operatori clinici che ai pazienti. Ed oggi le ceramiche integrali permettono sia di progettare nuove riabilitazioni sia di reintervenire su lavori realizzati in precedenza che non soddisfano le sempre più pressanti esigenze estetiche.

Figura 1 – Protesi parziale fissa in oro ceramica.

Figura 2 – Protesi parziale fissa in zirconia ceramica.

Figura 3 – Inlays e onlays in oro in arcata mandibolare.

Figura 4 – Full-arch bridge in zirconia ceramica.

Figura 5 – Caso clinico 1: Corone in oro ceramica a supporto dentario in regione 11 e 21. Esposizione dei margini metallici sulla superficie vestibolare con conseguente insuccesso estetico della riabilitazione.

Figura 6 – Caso clinico 1: Risoluzione estetica del caso mediante sostituzione dei restauri incongrui con corone in allumina-ceramica in regione 11 e 21.

Figura 7 – Caso clinico 2: Corona in oro ceramica a supporto implantare in regione 21. Visibilità del margine metallico sulla superficie vestibolare con conseguente insuccesso estetico della riabilitazione.

Figura 8 – Caso clinico 2: Risoluzione estetica del caso mediante sostituzione del restauro incongruo con corona in allumina-ceramica in regione 21.
A dirla tutta, però, le ceramiche integrali non sono nemmeno delle ceramiche ma sono in effetti degli ossidi ceramici di comuni metalli. Tutti abbiamo a che fare quotidianamente con il colore argentato dell’alluminio: lattine, porte, utensili vari. Lo zirconio, invece, ha un colore bianco-grigiastro e viene utilizzato principalmente nella produzione di materiali refrattari, per le infrastrutture dei reattori nucleari e, addirittura, come pietra preziosa sintetica. In quest’ultimo ambito sono di certo esperte le nostre colleghe che possono accettare o rifiutare le avances di un pretendente a seconda che venga loro regalato un diamante o uno zircone!
Trattati opportunamente, questi metalli, alluminio e zirconio, possono essere ossidati modificando radicalmente le proprie caratteristiche, a partire dal nome. L’ossido di alluminio (Al2O3) e l’ossido di zirconio (ZrO2) vengono definiti rispettivamente “allumina” e “zirconia”. Il primo punto, dunque, è chiaro: in odontoiatria non è mai corretto parlare di zirconio. Anche le caratteristiche estetiche cambiano profondamente: dal grigio metallico ad un colore bianco più o meno opaco. Al di là dell’innegabile miglioramento cromatico, entrambi i materiali sono molto apprezzati in ambito biomedico in quanto sono altamente biocompatibili e presentano un ottimo grado di durezza e di resistenza all’usura. Basti pensare che entrambi questi materiali, nelle loro forme impiegate in campo odontoiatrico, presentano una durezza superiore a quella dell’acciaio!
Questa eccellente resistenza meccanica, tuttavia, non è peculiare di allumina e zirconia bensì è frutto di procedimenti di lavorazione molto sofisticati. Da un punto di vista chimico-fisico, entrambi i materiali sono costituiti da strutture policristalline ma nella loro “forma verde”, quella, cioè, a monte della processazione industriale, presentano vuoti e difetti microscopici che li rendono friabili, conferendo loro la consistenza del gesso da lavagna. Successivamente, grazie ad un procedimento definito “sinterizzazione” (cottura ad elevatissima temperatura sotto elevate pressioni), allumina e zirconia assumono le caratteristiche meccaniche descritte in precedenza, grazie all’eliminazione quasi completa dei vuoti e dei difetti della struttura policristallina.
La zirconia, in particolare, presenta una modificazione di fase che la rende particolarmente adatta alla protesizzazione dei settori latero-posteriori. Tale materiale risulta stabile in una forma cristallina monoclina, nella quale, in parole povere, i suoi cristalli assumono la forma di ciottoli arrotondati. L’industria, tuttavia, è in grado di bloccare la struttura del materiale allorché i cristalli si presentano in forma tetragonale, simile, cioè, ad una struttura piramidale. Il blocco di questa trasformazione di fase, che è irreversibile e locale, che può, cioè, non interessare l’intera struttura del materiale ma solo talune sue zone, viene ottenuto mediante l’applicazione durante la fase di raffreddamento successiva alla sinterizzazione di ossidi stabilizzatori, essenzialmente di magnesio o di ittrio, donde l’acronimo Y-TZP utilizzato per definire molti tipi di zirconia ad uso odontoiatrico (Yttrium Tetragonal Zirconia Polycrystals).
Perché, tuttavia, ricorrere ad un ulteriore processo di lavorazione industriale, dato che si è detto che dopo la sinterizzazione la zirconia assume valori di resistenza meccanica ottimali? Semplice: perché, trattandosi di un ossido ceramico, il materiale resiste molto bene agli stress compressivi ma in maniera molto meno soddisfacente alle sollecitazioni tensive, come fanno, del resto, tutte le ceramiche tradizionali. Ciò fa sì che, durante le funzioni intraorali, le strutture in zirconia possano essere sottoposte a forze e carichi che possano deteriorarne le caratteristiche meccaniche.
Qualcuno potrebbe pensare che una protesi vada incontro a stress tensionali solo se sottoposta all’azione di un martelletto o alla masticazione di cibi non propriamente indicati a seguito di una riabilitazione protesica, quali gomme da masticare particolarmente tenaci, caramelle mou o bastoncini di liquirizia. Eppure, chiunque si occupi di odontoiatria sa perfettamente che i pazienti attribuiscono quasi sempre la frattura di un restauro o alla scarsa perizia del dentista o all’azione di cibi apparentemente “innocui”, come mollica di pane, minestrone o patè di fegato d’oca! Va, dunque, cercata una spiegazione a fenomeni così inquietanti…
Detto, fatto! Intraoralmente, i carichi assiali sono una sorta di chimera: non ci vuole una laurea in fisica per comprendere che l’inclinazione stessa dei piani cuspidali e delle radici dentarie rende quasi impossibile l’applicazione di forze coassiali con l’asse longitudinale degli elementi dentari. Se ne ricava che qualunque forza venga considerata durante la masticazione o le altre attività funzionali e parafunzionali è costituita da almeno una componente eccentrica che si traduce in una sollecitazione extrassiale a carico degli elementi dentari, siano essi naturali o protesizzati. Carico extrassiale significa, nella quasi totalità dei casi, stress tensivo. Bingo!
Utilizzare materiali che siano in grado di tollerare simili sollecitazioni in modo soddisfacente diventa, dunque, un obiettivo di primaria importanza per il raggiungimento del successo a lungo termine di una protesi. L’impiego degli ossidi stabilizzatori per bloccare la transizione di fase della zirconia di cui si è parlato in precedenza è mirato proprio a questo: a far sì che, mirabile dictu, il materiale sia in grado, entri certi limiti, di “autoripararsi”. Quando si verifica un accumulo di stress che eccede la resistenza strutturale del materiale, la zirconia è in grado di utilizzare tale “dannosa” energia per innescare il passaggio dalla forma tetragonale a quella monoclina dei cristalli (chiamato “tranfsormation toughening” ossia “indurimento da trasformazione”), determinando un incremento volumetrico del materiale pari a circa il 4% che genera uno stress compressivo all’interno del materiale. Tale fenomeno permette alla zirconia non solo di bloccare la propagazione di microfratture all’interno della struttura ma addirittura di ridurre le loro dimensioni.
E’ bene, ricordare, tuttavia, che questa “autoriparazione” della zirconia può avvenire solo una volta in una determinata zona del materiale. In altre parole, l’insorgenza di un microcrack in una determinata porzione di una struttura protesica non compromette la resistenza strutturale dell’intero framework ma interessa solo ed esclusivamente la zona nella quale si è verificato l’accumulo di stress. Tuttavia, essendo la transizione di fase irreversibile, una volta che si sia verificata in una determinata porzione della struttura, essa non potrà più ripetersi nella medesima zona ed il materiale, inevitabilmente, risulterà indebolito.
La zirconia, quindi, può perdonare o, quanto meno, tollerare, entro certi limiti, eventuali errori di progettazione protesica o lievi dimenticanze in termini di controllo e mantenimento nel tempo delle nostre riabilitazioni: per la serie “sbagliando si impara”! Ma attenzione a non abusare della pazienza della zirconia, altrimenti assisteremo ad un altro fenomeno piuttosto singolare che sfata uno dei più celebri motti della saggezza popolare: chi rompe (il paziente) non paga ed i cocci sono suoi! Magra consolazione…!
PER SAPERNE DI PIU’:
1. Zarone F., Sorrentino R., Vaccaro F., Traini T., Russo S., Ferrari M. Acid etching surface treatment of feldspathic, alumina and zirconia ceramics: a micro-morphological SEM analysis. International Dentistry South Africa, 2006; 8(3): 50-56.
2. Zarone F., Sorrentino R., Vaccaro F., Russo S., De Simone G. Retrospective clinical evaluation of 86 all-ceramic anterior single crowns on natural and implant-supported abutments. Clinical Implant Dentistry and Related Research, 2005; 7(Suppl 1):S95-103.
3. Salameh Z., Sorrentino R., Ounsi H., Goracci C., Tashkandi E., Tay F.R., Ferrari M. Effect of different all-ceramic crown system on fracture resistance and failure pattern of endodontically treated maxillary premolars restored with and without glass fiber posts. Journal of Endodontics, 2007; 33(7): 848-851.
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zerodonto@gmail.com