Una paziente di sesso femminile di 63 anni di età si presentava all’osservazione degli autori con gli esiti di una marcata parodontite cronica all’arcata mandibolare. Residuavano in arcata il 33 ed il 44, impiegati come pilastri di una protesi parziale rimovibile in resina e ganci in filo che risultava incongrua sia da un punto di vista funzionale sia sotto il profilo estetico. Inoltre, si evidenziava la presenza di una corona in metallo-ceramica sul 33 con margine ampiamente sopragengivale e con un connettore metallico esposto nella regione mesiale; all’atto della raccolta anamnestica, la paziente riferiva la presenza di una pregressa protesi parziale fissa in metallo-ceramica che solidarizzava il gruppo frontale mandibolare, realizzata per limitare il discomfort legato alla mobilità di tali elementi dentari. All’arcata superiore, la paziente mostrava una protesi totale rimovibile incongrua sotto il profilo estetico ma adattabile ad una soddisfacente funzione stomatognatica.
Dopo aver verificato l’efficienza masticatoria della paziente e non causando la protesi superiore alcun discomfort funzionale, volendo la paziente stessa procrastinare la riabilitazione mascellare per motivi personali, si provvedeva ad una ribasatura della protesi totale rimovibile, al fine di stabilizzarne l’occlusione ed impiegarla per le successive registrazioni intermascellari necessarie per la realizzazione della riabilitazione protesica mandibolare.
La paziente presentava buone condizioni di salute generale e si dichiarava fumatrice moderata (10-15 sigarette/die); pur essendo stata informata dei rischi connessi all’assunzione di nicotina, la paziente rifiutava di smettere di fumare e di ridurre il consumo di sigarette.
Dopo aver illustrato alla paziente le differenti opzioni terapeutiche fisse e rimovibili ritenute valide per la riabilitazione mandibolare e dopo aver ottenuto il suo consenso informato, si optava per una riabilitazione fissa a supporto implantare. A tal scopo, veniva realizzata una protesi parziale rimovibile scheletrata preimplantare per riabilitare in modo provvisorio l’arcata mandibolare dopo la fase chirurgica. L’elemento 33 veniva mantenuto in arcata come riferimento per la dimensione verticale della paziente.
FASE CHIRURGICA
Veniva eseguita un’anestesia di tipo plessico con carbocaina al 2 % senza eseguire anestesia di tipo tronculare, al fine di avere una risposta della paziente in caso di eccessiva vicinanza al nervo alveolare inferiore.
Veniva eseguita un’incisione in cresta con una lama di bisturi Bard Parker nr. 15C. Tale incisione veniva effettuata in posizione lievemente più palatale al fine di salvaguardare vestibolarmente una sufficiente quantità di mucosa cheratinizzata.
Dopo lo scollamento del lembo a spessore totale, venivano eseguite suture divaricanti vestibolari e linguali, al fine di evitare che i lembi potessero ostacolare le manovre chirurgiche.
Successivamente, essendo lo spessore osseo estremamente sottile nella porzione più coronale del margine alveolare, venivano effettuate osteotomia ed osteoplastica della cresta edentula mediante una fresa a rosetta al carburo di tungsteno montata su moltiplicatore a basso numero di giri sotto abbondante irrigazione con soluzione fisiologica. Tale procedura permetteva sia di regolarizzare il profilo della cresta ossea sia di ottenere nella porzione basale uno spessore osseo più adeguato per l’inserimento degli impianti.
Al fine di avere sempre sotto controllo la quantità di tessuto osseo rimossa, tale rimodellamento veniva inizialmente eseguito monolateralmente; solo in seguito tale procedura veniva ripetuta controlateralmente, in modo da poter visualizzare correttamente la reale quantità di tessuto osseo rimosso in altezza.
Successivamente, mediante l’ausilio di uno scollaperiostio e procedendo in modo estremamente delicato, venivano visualizzati i fori mentonieri, al fine di avere un controllo ottimale della posizione del nervo alveolare inferiore precedentemente evidenziata nella TAC della paziente.
L’intervento risultava nell’inserimento totale di 7 impianti. Si procedeva ad inserire un settimo impianto nella porzione distale dell’emiarcata mandibolare sinistra considerata la scarsa qualità ed altezza del tessuto osseo in quella zona.
Estrema cautela veniva prestata nel non danneggiare la corticale linguale nè l’arteria sublinguale. Gli impianti venivano inseriti in maniera quanto più possibile parallela tra loro ed al contempo quanto più perpendicolare rispetto al piano occlusale, al fine di ottimizzare la distribuzione dei carichi funzionali.
A tal scopo, durante l’intera fase chirurgica veniva lasciato in situ l’elemento 33, al fine di poter valutare il parallelismo e l’occlusione della paziente intraoperatoriamente durante l’inserimento degli impianti.
Dopo il posizionamento delle viti di guarigione da 2 mm di altezza, veniva eseguita una sutura in poliestere rivestito in e-PTFE (Tevdek 3-0).
Al termine dell’intervento, veniva prescritta alla paziente terapia antibiotica (amoxicillina 1g 2 volte/die per 5 gg) ed antinfiammatoria (nimesulide 100 mg 2 volte/die per 3 gg); l’igiene orale domiciliare veniva implementata dall’uso di clorexidina 0.2% per 3 settimane.
FASE PROTESICA
Dopo 3 mesi dalla fase chirurgica, veniva verificata la corretta osteointegrazione degli impianti sia clinicamente che mediante radiografie endorali.
Veniva rilevata una prima impronta mediante transfer avvitati per realizzare una protesi provvisoria fissa avvitata di tipo Toronto bridge. Al fine di facilitare le successive fasi protesiche ma nel rispetto della biomeccanica restaurativa, tale protesi provvisoria veniva solidarizzata a 4 dei 7 impianti mediante una barra metallica avvitata con rivestimento estetico in resina acrilica. Tale protesi veniva realizzata con la finalità di monitorare nel tempo la correttezza dei rapporti intermascellari e delle funzioni occlusali.
A 3 mesi dal posizionamento della protesi provvisoria, si procedeva alla finalizzazione protesica.
Veniva rilevata una impronta di precisione mediante un portaimpronta individuale in resina fotopolimerizzabile forato in corrispondenza degli impianti ed un polietere a media viscosità; al fine di ottimizzare l’adesione tra portaimpronta e materiale da impronta, veniva impiegato un adesivo dedicato per polieteri.
I transfer da impronta avvitati venivano solidarizzati tra loro mediante splintaggio con filo interdentale e resina calcinabile, al fine di ridurre le distorsioni legate alla contrazione del polietere ed alla rimozione del portaimpronta dal cavo orale.
Il corretto accoppiamento tra i transfer da impronta ed i relativi impianti veniva verificato mediante radiografie endorali.
Dopo aver atteso la corretta polimerizzazione intraorale del polietere, i fori di accesso ai transfer da impronta sono stati liberati mediante lama di bisturi e specillo.
Pur non esistendo, ad oggi, metodiche che permettano di verificare clinicamente l’adattamento passivo di una struttura protesica a supporto implantare, la precisione dell’impronta veniva controllata mediante la realizzazione di una barra in resina che solidarizzava le componenti protesiche per avvitamento. Mediante la tecnica di serraggio intercalato (test di Sheffield), tale barra in resina veniva provata intraoralmente ed il corretto accoppiamento tra la mesostruttura protesica ed il supporto implantare veniva verificato sia clinicamente mediante sistemi ingrandenti sia mediante radiografie endorali.
Successivamente, su tale barra venivano posizionati tre cilindri di supporto per effettuare un montaggio in cera degli elementi dentari di sostituzione, al fine di verificare gli ingombri protesici e la correttezza delle relazioni intermascellari, nonché per effettuare le convenzionali prove estetiche e fonetiche.
Le correzioni occlusali venivano trasferite in laboratorio mediante la registrazione di check occlusali in resina calcinabile.
In seguito, venivano realizzate tre mesostrutture in lega nobile avvitate sul supporto implantare, una nel settore anteriore e due nei settori diatorici. Ciascuna di tali mesostrutture veniva progettata per alloggiare una vite di serraggio linguale per la solidarizzazione della sovrastruttura protesica. La scelta di una protesi avvitata veniva effettuata al fine di poter effettuare agevoli rientri periodici, se necessario, non volendo la paziente ridurre il consumo di sigarette.
Le mesostrutture venivano avvitate intraoralmente e l’adattamento passivo verificato come descritto in precedenza.
Inoltre, veniva verificata la progettazione di mantenimento igienico del manufatto, mirata ad un agevole impiego di presidi domiciliari quali idropulsore e scovolini interimplantari.
Successivamente, veniva realizzata una modellazione in resina della sovrastruttura protesica in base alle informazioni acquisite in fase di prova del montaggio dei denti in cera, al fine di verificare la correttezza degli ingombri protesici. Da tale modellazione veniva sottratto lo spessore necessario alla stratificazione della ceramica da rivestimento estetico.
Il modellato in resina veniva, poi, sottoposto a scansione e lavorazione CAD-CAM, così da realizzare un monoblocco in zirconia.
Per il serraggio della protesi alle mesostrutture, venivano selezionate delle viti a testa piatta ed accoppiamento conico: la parte lavorante trovava ingaggio esclusivamente nelle mesostrutture metalliche così da non generare stress tensivi a carico della zirconia, per la quale, viceversa, si sfruttava solo l’adattamento frizionale della testa piatta delle viti. L’altezza della testa delle viti, inoltre, era modulabile in laboratorio, in modo da poterne adattare l’altezza alle esigenze funzionali del caso, realizzando dei fori di accesso congrui.
Successivamente, si procedeva alla stratificazione della ceramica feldspatica di rivestimento. Concordemente ai dati della più recente letteratura, al fine di ridurre l’insorgenza di complicanze meccaniche quali le fratture coesive (chipping) della ceramica di rivestimento, la modellazione della struttura in zirconia veniva effettuata secondo un criterio anatomico, ossia realizzando profili mirati a supportare correttamente la ceramica ed evitando spessori eccessivi, in particolar modo nelle zone sottoposte a stress tensivi. Pertanto, la ceramica da rivestimento estetico veniva stratificata con uno spessore uniforme pari a 0.6 mm. Inoltre, veniva impiegata una ceramica da rivestimento estetico dedicata per la zirconia, ossia con un coefficiente di espansione termica (CET) compatibile con quello della struttura CAD-CAM. Infine, la ceramica di rivestimento veniva sottoposta ad un raffreddamento lento e progressivo (slow cooling), in modo da limitare l’insorgenza di microdifetti legati alla dissipazione degli stress residui sia di natura termica che meccanica.
L’asse di inserzione delle viti linguali veniva progettato in modo da limitare il più possibile l’ingombro degli spazi funzionali, così da facilitare l’avvitamento intraorale della protesi. Conseguentemente, l’emergenza delle viti linguali veniva realizzata secondo un’asse disto-mesiale con lieve inclinazione verso l’arcata superiore.
I fori di accesso alle viti linguali venivano posizionati in modo da non interferire con le modellazioni dei tavolati occlusali in regione premolare, al fine da non alterare i tragitti funzionali analizzati in articolatore e verificati con la protesi provvisoria.
Inoltre, veniva verificato l’accesso igienico alla protesi mediante inserimento di scovolini in plastica negli spazi interimplantari.
Infine si procedeva alla finalizzazione del caso. Le mesostrutture venivano avvitate agli impianti mediante un chiavino dinamometrico a 30 Ncm, secondo le indicazioni del produttore e gli accessi alle viti venivano protetti mediante un materiale da otturazione fotopolimerizzabile. Il corretto avvitamento delle componenti veniva verificato mediante radiografie endorali.
Previa verifica dell’adattamento della protesi ai tessuti mucosi mediante un rilevatore di pressione a base di silicone, la sovrastruttura protesica veniva avvitata intraoralmente mediante un chiavino dinamometrico a 25 Ncm, secondo le indicazioni del produttore e gli accessi alle viti protetti come descritto in precedenza.
Non veniva evidenziata alcuna zona di pressione o ischemia e la transizione cromatica tra protesi e tessuti mucosi risultava pienamente soddisfacente (Odt. Vincenzo Mutone).
Ad una settimana dalla finalizzazione del caso, la paziente veniva richiamata a controllo e le viti di serraggio, sia delle mesostrutture che della sovrastruttura, venivano ulteriormente serrate mediante chiavino dinamometrico come precedentemente descritto in virtù del fenomeno del settling, ossia la moderata perdita di precarico dovuta al progressivo adattamento sotto carico occlusale tra viti e filettature.
Venivano, inoltre, controllati i contatti occlusali statici e dinamici e la risposta biologica dei tessuti periimplantari.
Non veniva rilevato alcun segno di flogosi ed il mantenimento igienico domiciliare risultava più che soddisfacente. La paziente descriveva il comfort funzionale e psicologico come ottimale.
A fronte dei soddisfacenti risultati ottenuti nel caso descritto, va ricordato che, ad oggi, non esistono evidenze in letteratura della validità a lungo termine di strutture in zirconia a travata così ampia. I risultati clinici, pertanto, andranno monitorati e verificati nel tempo.
La progettazione protesica descritta è stata effettuata nel rispetto delle attuali indicazioni riguardanti la realizzazione di protesi con struttura in zirconia ed è stata realizzata al fine di ridurre gli ingombri protesici e favorire la biointegrazione della protesi, in virtù della comprovata biocompatibilità della zirconia.
Ciò nonostante, un monoblocco in zirconia di dimensioni notevoli potrebbe essere soggetto nel corso del tempo a complicanze meccaniche legate sia alla lavorazione industriale e di laboratorio del materiale sia all’invecchiamento (aging) del materiale stesso in ambiente intraorale. Pertanto, come evidenziato in precedenza, l’efficenza clinica di protesi simili necessita di ulteriori verifiche cliniche.
Per quanto concerne la scelta di una protesi avvitata, è doveroso ricordare che lo svitamento di una struttura protesica va considerata un’operazione assolutamente occasionale e dettata da reali necessità di monitoraggio (ad esempio in pazienti a rischio) e/o riparazione e non una procedura periodica mirata, ad esempio, all’espletamento delle routinarie procedure di igiene orale professionale. Alla rimozione periodica delle viti di serraggio, infatti, sono state correlate complicanze meccaniche quali svitamento o perdità di efficenza dei giunti avvitati.
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