Articolo aggiornato il 27/09/2018
I bifosfonati, farmaci inibitori del riassorbimento osseo regolato dagli osteoclasti, sono molecole stabili, analoghe al pirofosfato inorganico, indicate nella prevenzione e nel trattamento di numerosi disordini metabolici e oncologici dell’apparato scheletrico. Tra questi: osteopenia, osteoporosi, morbo di Paget, osteogenesis imperfecta, mieloma multiplo, ipercalcemia maligna, metastasi ossee derivanti da neoplasie mammarie, prostatiche o polmonari. In tutti i casi, i bifosfonati riducono l’incidenza di fratture patologiche, sopprimendo la funzione osteoclastica e facendo incrementare la densità ossea, di fatto migliorando la qualità di vita dei pazienti. Sebbene presentino breve emivita plasmatica, essendo resistenti all’idrolisi enzimatica e legando avidamente gli ioni Ca++ dei cristalli di idrossiapatite, queste molecole possono persistere immodificate per anni nella matrice ossea mineralizzata, e, in particolare, nei siti ad elevato turnover. Quando gli osteoclasti cominciano a rilasciare ioni H+, rendendo acido il pH dell’ambiente, i bifosfonati vengono rilasciati dalla matrice ossea e fagocitati da queste cellule, che successivamente subiranno l’apoptosi.
Caratteristiche delle ossa mascellari
I bifosfonati tendono a depositarsi in corrispondenza di segmenti ossei interessati da fenomeni attivi di rimodellamento, così come in zone colpite da processi infiammatori che culminino nell’attivazione degli osteoclasti. Le ossa mascellari, sottoposte a stress meccanico e frequenti microfratture, “vivono” uno stato di continuo rimodellamento. Pertanto, è questa la sede preferenziale di accumulo dei bifosfonati. La persistenza di ripetuti traumi dovuti alla presenza degli elementi dentari e allo sviluppo delle forze masticatorie, genera, a livello dell’osso alveolare, un turnover 10 volte maggiore rispetto a quello delle ossa lunghe (e.g. tibia). Va ricordato che le ossa mascellari, a differenza delle ossa lunghe e delle vertebre, subiscono un’ossificazione intramembranosa e che la mandibola è l’osso più denso in assoluto (la densità si riduce in zona molare e premolare). L’osso trabecolare ha poi un turnover di 6/7 volte superiore rispetto a quello dell’osso compatto. Ciò consente un rapido accumulo di bifosfonati ed un più lento rilascio nel tempo al momento della loro sospensione. I mascellari, inoltre, sono scarsamente protetti dal rischio di infezione perché il sottile epitelio della mucosa orale può essere facilmente traumatizzato ed esporre l’osso sottostante al contatto con oltre 500 diverse specie di microrganismi. A differenza di ogni altra sede, la guarigione dei tessuti può essere quivi compromessa continuamente dal rischio di contaminazione batterica dopo un intervento chirurgico o un trauma.
Classificazione e meccanismo d’azione
Etidronato e Clodronato sono bifosfonati semplici, gli unici ad essere metabolizzati in analoghi citotossici intracellulari e non idrolizzabili dell’ATP, i quali accumulandosi negli osteoclasti, ne inducono la morte cellulare.
Pamidronato, Alendronato, Risedronato, Ibandronato e Zolendronato sono aminobifosfonati, ovvero bifosfonati dotati di un gruppo amminico in corrispondenza della catena laterale R2, comunemente utilizzati per le preparazioni endovenose in quanto scarsamente assorbiti dall’apparato gastroenterico. Questi ultimi sono da 100 a 10000 volte più potenti dei primi, nonché efficaci inibitori dell’enzima farnesil-difosfato sintetasi che controlla la produzione di colesterolo e altre proteine prenilate (GTPasi), implicate in importanti processi intracellulari degli osteoclasti (e.g. morfologia cellulare, organizzazione del citoscheletro, traffico vescicolare, apoptosi). Pare inoltre che gli aminobifosfonati abbiano effetti antiangiogenetici, interferendo col fattore di crescita endoteliale (VEGF) ed effetti antitumorali, promuovendo l’apoptosi delle cellule cancerogene e riducendo la formazione di metastasi.
L’affinità dei bifosfonati per l’idrossiapatite dipende dalla loro struttura chimica. Dal più affine al meno affine abbiamo: Zolendronato, Pamidronato, Alendronato, Ibandronato e Risedronato. In ultimo, il Clodronato è dotato della più scarsa affinità.
La persistenza degli aminobifosfonati nel tessuto osseo è di molti anni, resta invece molto breve per il Clodronato.
Zolendronato e Pamidronato sono le molecole più attive, dotate della più alta affinità per l’idrossiapatite e capaci di legare solo debolmente le proteine plasmatiche. Il loro uso prolungato sopprime l’attività dei macrofagi, l’angiogenesi, il turnover osseo sistemico e i processi riparativi dei microtraumi locali.
Osteonecrosi dei mascellari
La diffusione negli ultimi anni dei bifosfonati, sorretta da un eccellente profilo di sicurezza di questi farmaci, ha generato la sempre più preoccupante comparsa di effetti collaterali devastanti a carico delle ossa mascellari. L’osteonecrosi dei mascellari è una malattia multifocale che generalmente colpisce pazienti trattati per lunghi periodi con somministrazioni endovenose di aminobifosfonati e può presentarsi spontaneamente o, più frequentemente, in seguito ad una procedura invasiva che coinvolga i denti o i tessuti orali (e.g. estrazioni dentarie). Si presenta come un’area necrotica di osso non vascolarizzato, che compare in regione maxillo facciale e persiste da più di 8 settimane. Segni e sintomi associati sono: dolore, mobilità dentaria, edema, fistole, parestesie, ulcerazioni, suscettibilità a fratture patologiche. Una sinusite cronica, secondaria all’osteonecrosi del mascellare superiore, con o senza fistola oro-antrale, può essere la prima manifestazione clinica della malattia. Talvolta la lesione può rimanere asintomatica per lunghi periodi, anche anni, finché l’infiammazione non coinvolge i tessuti circostanti. Sono stati descritti casi di pazienti oncologici in cui le lesioni si sono presentate spontaneamente, in zone edentule o in corrispondenza di esostosi. Alcuni pazienti potrebbero inoltre riferire sintomi di alterata sensibilità della zona interessata a causa della compressione esercitata dai tessuti infiammati sui fasci vascolo nervosi.
Con l’avanzare dell’età, la persistenza di continui traumi, l’incremento del turnover osseo e dei disordini parodontali, l’incidenza tende ad aumentare.
L’esame istologico dell’area necrotica mostra osteomielite diffusa e formazione di un coagulo osseo necrotico contaminato da batteri e miceti. In alcuni casi l’osso circostante la lesione può mostrare numerosi segni di microfratture che testimoniano la perdita delle capacità autoriparative.
Recentemente è stata definita una forma di osteonecrosi dei mascellari associata all’uso di altri farmaci, il denosumab, anticorpo monoclonale ad attività anti-osteoclastica, il bevacizumab e sunitinib, sostanze ad azione antiangiogenetica. Pertanto oggi si parla anche di osteonecrosi dei mascellari indotta da farmaci, dato che queste sostanze aumentano l’incidenza e la prevalenza della patologia sia nei pazienti trattati per osteoporosi che nei pazienti oncologici. Quando i bifosfonati vengono somministrati insieme ai corticosteroidi l’osteonecrosi si può manifestare precocemente ed in forma severa.
Diagnosi
Le condizioni necessarie alla diagnosi di ostenecrosi sono:
• Accertata assunzione di bifosfonati attuale o pregressa.
• Esposizione di osso necrotico in regione maxillo facciale da più di 8 settimane.
• Anamnesi negativa per terapia radiante in regione cranio-facciale e assenza di lesioni neoplastiche.
Stadiazione
La stadiazione clinica (AAOMS 2009) prevede 5 stadi:
• A rischio: pazienti trattati con bifosfonati per via orale o endovenosa che non presentano lesioni evidenti.
• Stadio 0: pazienti che presentano sintomi aspecifici e alterazioni radiologiche in assenza di necrosi ossea.
• Stadio 1: pazienti asintomatici che presentano osso necrotico esposto o fistole.
• Stadio 2: pazienti sintomatici (e.g. dolore, eritema, infezioni) che presentano osso necrotico esposto o fistole.
• Stadio 3: pazienti allo stadio 2 che presentano una delle seguenti condizioni: fratture patologiche che si estendono oltre l’osso alveolare, fistole extraorali, comunicazioni oro-antro o oro-nasali, osteolisi che si estendono al bordo inferiore della mandibola o al pavimento del seno mascellare.
La severità della malattia è strettamente correlata all’età dei pazienti e alla funzionalità renale. Quest’ultima è a sua volta influenzata da diverse patologie sistemiche: ipertensione arteriosa, diabete, glomerulonefrite, infezioni, patologie epatiche, tiroidee, renali.
Diagnosi differenziale
La diagnosi differenziale va posta con le seguenti patologie: osteite alveolare, osteomielite cronica sclerosante, sinusite, parodontopatie, lesioni periapicali, osteoradionecrosi, metastasi ossee, sequestro osseo, disordini dell’ATM.
Sede
Le lesioni osteonecrotiche compaiono nel 65% dei casi nella mandibola, nel 28,4% dei casi nel mascellare superiore, nel 6,5% in entrambi, nello 0,1% in altre sedi, e, con maggiore prevalenza, in corrispondenza di prominenze ossee (i.e. tori, esostosi, cresta miloioidea). La zona più colpita della mandibola è la regione molare e premolare, laddove si riduce la densità ossea e si assottiglia la mucosa orale. E’ stata poi descritta un’insolita forma di osteonecrosi del canale uditivo esterno.
Fattori di rischio
I principali fattori di rischio sono:
• Fattori legati all’assunzione di bifosfonati (i.e. potenza e durata della terapia)
• Fattori locali (e.g. estrazioni dentarie pregresse, chirurgia dento-alveolare, uso di protesi incongrue, esostosi, infezioni orali, scarsa igiene orale)
• Fattori sistemici (e.g. diabete mellito, chemioterapia, terapie a base di corticosteroidi, malnutrizione, fumo di tabacco, età avanzata)
Tra i pazienti che assumono bifosfonati, sono da considerarsi ad alto rischio di ammalarsi di osteonecrosi dei mascellari, quelli trattati da almeno un anno con infusioni endovenose e quelli trattati da almeno 3 anni con terapie orali.
Incidenza e Prevalenza
La stretta associazione tra aminobifosfonati somministrati per via endovenosa e osteonecrosi dei mascellari suggerisce che questi farmaci siano più biodisponibili rispetto a quelli per uso orale e che vengano letteralmente incorporati nella matrice ossea senza essere degradati. L’incidenza nei pazienti oncologici è dipendente dalla neoplasia primaria, dalla dose e dalla durata della terapia, da eventuali terapie concomitanti (glucocorticoidi, farmaci antiangiogenetici) e varia dallo 0,8% al 12%.
La più alta incidenza è stata riscontrata nei pazienti trattati con una combinazione di pamidronato e zolendronato per la cura del mieloma multiplo (5-51%). Il maggior fattore predisponente all’osteonecrosi dei mascellari nei pazienti affetti da mieloma multiplo è l’estrazione dentaria. La prevalenza nei pazienti oncologici varia dallo 0,12% allo 0,186% fino a raggiungere il 20% in speciali sottogruppi ad alto rischio.
L’incidenza nell’ambito dei pazienti trattati per osteoporosi è piuttosto bassa, tra lo 0,01% e lo 0,04% e cioè solo leggermente superiore alla frequenza osservata nell’intera popolazione; la prevalenza tra lo 0% e lo 0,04%.
Ipotesi eziopatogenetiche
Attualmente non si conosce l’esatta eziopatogenesi di questa malattia. In particolare, non si sa se il processo infettivo, certamente coinvolto nella fisiopatologia della malattia, preceda o segua la necrosi ossea. L’azione inibitoria dei bifosfonati sulla proliferazione dei cheratinociti dell’epitelio orale potrebbe contribuire a danneggiare le mucose esponendole al rischio di infezione batterica. Questa, a sua volta, è in grado di stimolare il riassorbimento osseo e contribuire direttamente alla necrosi. Un’altra teoria (outside-inside) suppone che i bifosfonati generino un’ immunosoppressione locale che favorirebbe l’instaurarsi di processi infiammatori e infettivi che, una volta raggiunto il tessuto osseo, provocherebbero l’osteonecrosi.
Anche la farmacogenomica è oggetto di studio, in quanto si ritiene che polimorfismi genetici dell’enzima farnesil pirofosfato sintetasi o dei geni CYP2C8 del citocromo P450 potrebbero rappresentare fattori predisponenti alla malattia.
E’ stata anche avanzata l’ipotesi che l’ambiente acido che si crea in presenza di uno stato infiammatorio favorisca un’azione citotossica diretta ai tessuti molli della cavità orale (i.e. cheratinociti, fibroblasti, cellule endoteliali) da parte dei bifosfonati e che questo sia il primum movens del processo degenerativo che culmina nella necrosi ossea. Il danno alle mucose, quindi, e la parziale inattivazione dei macrofagi da parte dei bifosfonati, permetterebbero la penetrazione ai microrganismi e la diffusione dell’infezione.
Indicazioni cliniche
Le metastasi ossee sono la principale indicazione all’uso dei bifosfonati.
Il rimodellamento osseo è un processo fisiologico che coinvolge gli osteoblasti che producono osso e gli osteoclasti che lo distruggono. Qualsiasi alterazione di questo equilibrio si riflette in un incremento o decremento della densità ossea. L’omeostasi dell’osso sano è regolata dal sistema RANK/RANKL/OPG. Il polipeptide RANKL espresso sulla superficie degli osteoblasti lega il suo recettore RANK espresso sulla superficie dei precursori degli osteoclasti, oppure, in alternativa, il recettore OPG (osteoprotegerina) prodotto da osteoblasti, fibroblasti gengivali e cellule del legamento parodontale. L’interazione RANKL/RANK induce la differenziazione e attivazione dei precursori degli osteoclasti in cellule mature. OPG può bloccare l’osteoclastogenesi e quindi il riassorbimento osseo legando a sua volta il RANKL. Le cellule tumorali, infatti, una volta invaso il microambiente osseo, producono lesioni osteolitiche riducendo l’azione di OPG attraverso la produzione di proteine tipo PTH (paratormone). Queste metastasi alterano inoltre l’omeostasi ossea attraverso l’espressione di fattori di crescita e citochine che aumentano l’attività degli osteoclasti. L’eccessivo metabolismo osseo conduce alla comparsa di sintomi clinici (dolore, ipercalcemia, fratture patologiche) che possono essere controllati con la terapia farmacologica in grado di prevenire gravi complicanze scheletriche e migliorare la qualità di vita dei pazienti.
I potenti aminobifosfonati somministrati per via endovenosa ai pazienti oncologici hanno proprietà antiangiogenetiche che sono direttamente implicate nello sviluppo dell’osteonecrosi dei mascellari e, a tal proposito, la concentrazione plasmatica di VEGF (fattore di crescita endoteliale) può essere considerato un marker predittivo per il rischio di sviluppare la malattia.
I bifosfonati rappresentano anche la maggior classe di farmaci prescritti per la cura dell’osteoporosi e di altre patologie caratterizzate da un eccessivo riassorbimento osseo. L’azione diretta agli osteoclasti ristabilisce l’equilibrio tra apposizione e riassorbimento osseo.
Strumenti diagnostici
Radiografie bitewing e periapicali ad alta risoluzione, oltre a garantire il controllo dei fattori di rischio locali (e.g. lesioni cariose, parodontali e periapicali), permettono di osservare alcuni dettagli anatomici suggestivi di una possibile diagnosi di osteonecrosi: ispessimenti della lamina dura, aumenti della densità della porzione trabecolare dell’osso alveolare, allargamenti dello spazio parodontale.
Radiografie panoramiche, utili a fornire un quadro generale che comprenda immagini relative a strutture anatomiche adiacenti, consentono di osservare l’eventuale incompleta guarigione di siti post-estrattivi, la formazione di sequestri, ispessimenti del canale mandibolare o delle pareti del seno mascellare, reazioni periostali, fistole oro-antrali.
Radiograficamente, l’osteonecrosi dei mascellari si manifesta come un’area radiopaca corrispondente ad un sequestro osseo generalmente circondato da una zona irregolare radiotrasparente. Nelle fasi avanzate si osserva un’area osteolitica scarsamente definita nel contesto della corticale ossea, perdita di osso spugnoso (trabecolatura), riduzione della densità ossea. Queste immagini appaiono del tutto simili agli aspetti radiologici tipici dell’osteomielite.
Poiché i reperti radiologici non forniscono immagini patognomonime, è fondamentale la diagnosi differenziale con lesioni derivanti da altre patologie (e.g. osteomielite cronica sclerosante, osteoradionecrosi, metastasi ossee e morbo di Paget).
La tomografia computerizzata, se eseguita tempestivamente, può rivelare alcuni aspetti che si presentano nella fase precoce asintomatica o prodromica della malattia: alterazioni dell’architettura scheletrica, incrementi della densità trabecolare, segni iniziali di osteosclerosi.
La TC cone beam permette di rilevare le stesse alterazioni ma con il vantaggio di emettere dosi minori di radiazioni e di fornire maggiori dettagli sulle lesioni periapicali e parodontali.
La risonanza magnetica, invece, può essere utile ad evidenziare edema, ispessimento dei tessuti molli e linfoadenopatie cervicali.
La scintigrafia mediante Tc99 MDP o HDP è lo strumento diagnostico più sensibile per formulare una diagnosi precoce. Un incremento della captazione del radionuclide può infatti indicare il futuro sviluppo di osteonecrosi in una determinata area, ma non è in grado di distinguere lesioni derivanti da metastasi ossee, da osteoradionecrosi, osteomielite o osteonecrosi indotta da steroidi.
Una precisa localizzazione delle aree osteonecrotiche può essere ottenuta mediante PET o SPECT.
Riabilitazione implanto-protesica
L’instaurarsi di uno stato infiammatorio (perimplantite), in seguito all’inserzione di impianti dentari, è una possibile complicanza che potrebbe scatenare un processo osteonecrotico. Il rischio individuale di ciascun paziente è influenzato dalla patologia primaria e dalla terapia scelta (bifosfonati), dalla durata e frequenza, dalla presenza di altri disordini e di altri trattamenti. Alla luce di queste considerazioni, è conveniente risolvere tutti gli eventuali foci infiammatori ed infettivi prima di procedere con la chirurgia e monitorare clinicamente e radiograficamente il sito interessato fino alla completa guarigione. La profilassi antibiotica perioperatoria è fortemente raccomandata.
I bifosfonati non rappresentano una controindicazione assoluta alla terapia implantare in quanto esistono e sono stati documentati casi di osteointegrazione di successo anche in pazienti oncologici (gli impianti più a rischio saranno quelli posizionati nella porzione posteriore della mandibola). Naturalmente sarà opportuna un’attenta valutazione dei casi clinici e dei possibili candidati alla riabilitazione implanto-protesica, fornendo ai pazienti informazioni complete e dettagliate sui rischi eventuali. La decisione sarà influenzata anche dall’eventuale necessità di incremento dello spessore osseo e di intervento al seno mascellare. La compliance e la motivazione a mantenere un’adeguata igiene orale sono fattori determinanti nella proiezione del rischio individuale di ciascun paziente. La protesi mobile, terapia alternativa agli impianti, rappresenta a sua volta un fattore predisponente allo sviluppo dell’osteonecrosi dei mascellari per la sua capacità di nuocere ai tessuti molli.
Prevenzione
La prevenzione ed il controllo dei fattori di rischio sono aspetti molto importanti e spesso trascurati di questa patologia. Nel corso di una visita odontoiatrica preliminare, è utile sottoporre ad attento esame intraorale i pazienti che dovranno essere trattati con bifosfonati per via endovenosa, in modo da pianificare cure mirate a garantire la salute dentale e parodontale per l’inizio della terapia. Nel caso in cui siano richiesti interventi chirurgici, sarà necessario attendere la completa guarigione dei tessuti (14-21 giorni), prescrivere antibiotici e antisettici locali prima e dopo le procedure, assicurarsi che i pazienti siano in grado di mantenere una buona igiene orale. Tutte le procedure non urgenti potranno essere rimandate o programmate in corso di terapia. Riguardo ai pazienti che assumono bifosfonati per via orale da meno di 3 anni, sembra che non vi siano controindicazioni alla chirurgia orale. Se invece questi pazienti assumono contemporaneamente anche corticosteroidi sarebbe opportuno prescrivere, qualora le condizioni generali lo consentano, una “drug holiday” per i 3 mesi che precedono l’intervento chirurgico ed i 3 mesi che lo seguono. In caso di chirurgia estesa ed in presenza fattori di rischio multipli (e.g. diabete, parodontopatie, terapia con glucocorticoidi, deficit immunitario, fumo) è raccomandabile prescrivere una drug holiday, purché non si espongano i pazienti a conseguenze dannose per la salute ossea.
Dal punto di vista farmacologico le strategie di prevenzione per i pazienti trattati con bifosfonati sia per via orale che endovenosa sono mirate al controllo delle infezioni poiché queste, sebbene non si conosca l’esatta sequenza degli eventi, sono certamente implicate nel processo di eziopatogenesi della malattia. La profilassi antibiotica è necessaria alla luce degli effetti sistemici e locali dei bifosfonati (e.g. soppressione del rimodellamento osseo e dell’angiogenesi, tossicità ai tessuti molli, interferenze col sistema immunitario e ritardata guarigione) ed è imperativa in caso di estrazione dentaria. Il regime farmacologico va seguito prima dell’intervento e successivamente, fino alla completa guarigione del sito chirurgico.
In ottica preventiva, l’estrazione atraumatica, ottenuta sfruttando forze ortodontiche, può essere una valida alternativa alla chirurgia tradizionale. L’approccio conservativo, inclusa la terapia canalare e la chirurgia parodontale non invasiva, è fortemente consigliabile e, per i denti non recuperabili, può essere indicata l’asportazione della corona e la terapia endodontica delle restanti radici.
In definitiva, il miglior approccio preventivo nei confronti dei pazienti è quello individuale, valutando patologie concomitanti e fattori di rischio presenti.
Trattamento dell’osteonecrosi dei mascellari
L’approccio finora perseguito è di carattere palliativo in quanto mirato a migliorare la qualità di vita dei pazienti attraverso il controllo dei sintomi clinici (dolore, infezioni) e della progressione della necrosi. Le fasi iniziali (stadio 0 e 1) dell’osteonecrosi dei mascellari vengono affrontate in modo conservativo, attraverso l’eliminazione di tutte le lesioni attive orali e parodontali e la somministrazione di antibiotici, antisettici locali, analgesici, antimicotici e fluoro. L’antibiotico di prima scelta è l’amoxicillina che, in caso di allergie documentate, può essere sostituito da eritromicina, clindamicina, lincomicina e metronidazolo. Poichè l’azione del farmaco è subordinata al microcircolo locale e al grado di penetrazione nel sito infetto, con l’avanzare della malattia, le lesioni diventano poco vascolarizzate e meno sensibili all’antibioticoterapia sistemica. Le applicazioni topiche di clorexidina gluconato sono efficaci sia contro i batteri che contro i miceti (soprattutto Candida spp).
Nel caso di lesioni non sensibili a questo approccio conservativo e per i casi più gravi, si può optare per una terapia chirurgica dell’area necrotica. La maggior parte degli autori raccomanda di seguire un approccio conservativo che si limiti al debridment superficiale e all’asportazione del sequestro osseo per i pazienti allo stadio 2, e, al contrario, propone una terapia aggressiva di parziale o totale resezione ossea per i pazienti allo stadio 3. In ogni caso e indipendentemente dalla gravità della malattia, le lesioni che provocano costantemente danno ai tessuti molli devono essere rimosse. L’osteotomia deve essere praticata, dopo aver elevato un lembo a tutto spessore nel periostio, in modo da avere margini di resezione che raggiungano tessuto sano e sanguinante. I tessuti molli dovranno essere riposizionati senza tensioni e a copertura di margini ossei smussati, che non possano provocare danni o sanguinamento mediante suture riassorbibili in 7 giorni. La terapia chirurgica sembra efficace a ridurre dolore, infezioni, osteolisi, e a migliorare lo stato dei tessuti molli. In aggiunta al debridment chirurgico, e per i pazienti allo stadio 2, potrebbe essere utile applicare localmente fattori di crescita derivanti dalle piastrine (PDGF) o plasma autologo ricco di piastrine (PRP) per favorire la completa guarigione del sito chirurgico. Esistono poi fillers riassorbibili veicolanti antibiotici ad alte concentrazioni (Collatamp e Syntacoll) a base di collagene bovino tipo I purificato e gentamicina solfato (2,0 mg/cm2), che vengono applicati localmente in corrispondenza di siti trattati chirurgicamente e potenzialmente infetti. Questi dispositivi spugnosi rilasciano alte concentrazioni di antibiotico in modo da evitare gli effetti dannosi sull’organismo legati all’ antibioticoterapia sistemica di lunga durata e ad alti dosaggi.
Nei pazienti affetti da mieloma multiplo e in quelli trattati con bassi dosaggi di bifosfonati per la cura dell’osteoporosi la terapia chirurgica ha dato i migliori risultati.
Recentemente, la somministrazione di teriparatide, ormone paratiroideo ricombinante ad azione osteoanabolica, ha dato buoni risultati nel facilitare la guarigione delle lesioni all’osso alveolare mandibolare nei pazienti affetti da osteoporosi.
Terapie aggiuntive alla chirurgia tradizionale sfruttano sistemi laser per rimuovere le lesioni ossee (Er:YAG e Nd:YAG). La laseraterapia a basso livello (GaAlAs, Nd:YAG), è indicata sia in associazione alle terapie conservative che a quelle chirurgiche, in quanto migliora la vascolarizzazione delle mucose, promuove la rigenerazione ossea e riduce il dolore. Esistono inoltre protocolli terapeutici che propongono la fototerapia laser (InGaAlP) combinata alla terapia farmacologica e al trattamento chirurgico con applicazione topica di PRP.
Anche l’ossigenoterapia iperbarica può essere d’ausilio ai trattamenti chirurgici e non chirurgici per favorire la guarigione ossea.
Infine l’innesto di cellule staminali mesenchimali e della cresta neurale è oggetto di una strategia terapeutica mirata a ridurre l’infiammazione che caratterizza l’osteonecrosi dei mascellari e a sfruttare proprietà immunomodulatorie in grado di facilitare la rigenerazione tissutale endogena e l’angiogenesi.
Conclusioni
Ad oggi, l’ampia varietà di protocolli terapeutici disponibili ha dato risultati controversi e non consente ancora di standardizzare i dati raccolti ed arrivare a delle ufficiali “linee guida”.
Raccogliere una completa anamnesi, fornire gli strumenti per una buona igiene orale e prevenzione, effettuare frequenti controlli clinici e scegliere trattamenti minimamente invasivi sono i comportamenti adeguati ad evitare, per quanto possibile, lo sviluppo della malattia, che, va ricordato, può insorgere anche a 10 anni dall’assunzione dei farmaci.
Se da una parte vi sono solide evidenze epidemiologiche a supportare l’associazione tra somministrazioni endovenose di bifosfonati e comparsa della malattia, dall’altra, l’aumento dei casi registrati negli ultimi anni legati a prolungate terapie orali per curare l’osteoporosi, suggerisce che l’incidenza dell’osteonecrosi dei mascellari in tali pazienti sia più alta di quanto si credesse. Pertanto è fondamentale porre l’attenzione su pazienti colpiti da osteoporosi, per individuare fra questi, i casi ad alto rischio e potenziare le misure preventive. La sinergia tra tutti gli specialisti interessati alla gestione dei pazienti che assumono bifosfonati è di fondamentale importanza per attuare un piano strategico preventivo e/o terapeutico plasmato su ogni singolo caso clinico, secondo un approccio multidisciplinare.
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