Il colore naturale dei denti è determinato da una componente intrinseca associata alle proprietà ottiche di assorbimento e diffusione della luce di smalto e dentina e viene influenzato dalla presenza di discromie di superficie o interne. Lo sbiancamento rappresenta il trattamento estetico a notevole approccio conservativo, vantaggioso rapporto costo-beneficio, che consente di decolorare i composti organici responsabili delle pigmentazioni che macchiano i denti. Richiede un esame clinico endorale preliminare, la formulazione di una corretta diagnosi e la supervisione da parte dell’operatore odontoiatrico. Fattori determinanti per il successo del trattamento, relativi al paziente (esigenze individuali, età, aspettative, possibilità economiche) e all’operatore (disponibilità dei prodotti, conoscenza della scienza dei materiali), concorrono alla pianificazione di un appropriato programma terapeutico. Le pigmentazioni evidenti dei denti non costituiscono un problema solo dal punto di vista cosmetico, ma possono rappresentare un handicap fisico fino al punto di generare una distorsione della propria immagine personale, con conseguente sfiducia in se stessi. Per tale motivo lo sbiancamento dentale ha trovato ampia diffusione diventando uno dei trattamenti estetici più popolari e di successo. L’interesse crescente del pubblico nei confronti della bellezza del sorriso ha trovato conforto nello sviluppo e nella distribuzione di prodotti commerciali perfezionati e diversificati associati a nuovi metodi applicativi ed all’introduzione delle procedure di sbiancamento dentale nella pratica clinica degli odontoiatri.
Eziologia
Fattori intrinseci: includono le discromie irreversibili dovute all’assorbimento di molecole cromogene nel contesto di smalto e dentina, durante le fasi dello sviluppo dentale o dopo l’eruzione degli elementi dentari. Sono legate a lesioni della camera pulpare (emorragia intrapulpare, necrosi, calcificazione con deposito di dentina terziaria), terapia endodontica, difetti congeniti (fenilchetonuria, fibrosi cistica, iperbilirubinemia congenita, amelogenesi e dentinogenesi imperfecta), assunzione di farmaci (tetracicline, fluoro).
Fattori estrinseci: includono le pigmentazioni giallo-brune superficiali che interessano esclusivamente lo smalto. Sono legate al consumo di cibi, bevande, fumo di tabacco, alla scarsa igiene orale, al procedere dell’età (assottigliamento dello smalto e incremento della dentina).
Principio attivo: Perossido di idrogeno, perossido di carbammide (molecola organica che rilascia perossido di idrogeno e urea; al 10% equivale al 3,5% di perossido di idrogeno), perborato di sodio (mono-,tri- e tetra-idrato mescolato con perossido di idrogeno) e ossido di calcio.
Meccanismo d’azione: ossidazione dei doppi legami delle catene coniugate dei cromofori (molecole organiche a lunga catena chimicamente stabili) assorbiti dai tessuti duri dentali (smalto e dentina), con conseguente incremento della luminosità e riduzione del croma. In particolare, il perossido di idrogeno libera HO2 — (anione perossido) e radicali liberi, responsabili della distruzione delle molecole cromogene; il perossido di carbammide libera in soluzione acquosa perossido di idrogeno e urea, capace di denaturare le proteine della matrice organica dei tessuti dentali.
Reazioni avverse
1. Aumento transitorio lieve/moderato della sensibilità dentale riscontrabile durante e dopo il trattamento nei 2/3 dei pazienti sottoposti a sbiancamento dei denti vitali, riconducibile ad una pulpite reversibile scatenata dall’agente sbiancante ed amplificata dalla disidratazione dentale. Può essere affrontata mediante fluoroprofilassi topica (occlusione dei tubuli dentinali e riduzione del fluido dentinale) o applicazione di nitrato di potassio che ha un effetto analgesico sulla trasmissione dell’impulso nervoso.
2. Riduzione della microdurezza dello smalto esposto agli agenti sbiancanti clinicamente non significativa e capace di regredire spontaneamente in seguito al contatto con la saliva (elettroliti salivari). Studi condotti sul perossido di carbammide al 10% hanno dimostrato che l’applicazione del prodotto sbiancante sulla superficie dello smalto produce modificazioni microstrutturali locali simili a quelle che intervengono in caso di carie iniziale e che la quota di ioni calcio persa dallo smalto ammonta a circa 1 microg/mm2 che è una quantità trascurabile dal punto di vista clinico.
3. Irritazione dei tessuti molli: concentrazioni maggiori o uguali al 10% di perossido di idrogeno possono provocare danno cellulare, ulcerazione gengivale e bruciore mucoso e cutaneo. Clinicamente è possibile apprezzare la comparsa di una chiazza rossastra che lascia il posto ad una lesione di colore chiaro che tende a risolversi in tempi rapidi senza lasciare danni permanenti. La protezione dei tessuti molli è pertanto imperativa.
4. Alterazione del gusto. E’ possibile che il paziente riferisca di avvertire la sensazione di un gusto metallico immediatamente dopo lo sbiancamento e per alcune ore .
5. Incremento della temperatura intrapulpare. Una variazione significativa della temperatura, associata ad effetto fototermico e potenziale danno pulpare, viene registrata in corso di trattamento sbiancante con perossido di idrogeno nei casi in cui si faccia ricorso all’ausilio di sorgenti di attivazione (luce alogena, LED, laser) per accelerare il processo. Le sorgenti luminose aumentano la velocità di decomposizione del perossido di idrogeno e quindi di rilascio di radicali liberi capaci di ossidare i pigmenti scuri. Le sorgenti di attivazione che generano calore possono indurre espansione del fluido contenuto nei tubuli dentinali, determinando iperemia pulpare ed ipersensibilità post sbiancamento. Il calore produce disidratazione del dente più marcata e quindi una maggiore ipersensibilità post sbiancamento. L’azione chimica dei radicali liberi, inoltre, può contribuire ad aggravare il danno ai tessuti pulpari.
6. Alterazione della trama superficiale delle otturazioni in composito e dell’interfaccia smalto-composito: uno studio condotto su elementi dentari affetti da lesioni cariose di V classe di Black restaurate in composito e successivamente trattate con perossido d’idrogeno al 35% (7 applicazioni di 30 min. ciascuna) ha dimostrato che lo sbiancamento produce alterazioni della topografia di superficie con predominanza di aree di depressione che favoriscono l’accumulo di placca ed innalzano il rischio di carie e patologie parodontali. L’interfaccia smalto-composito, esaminata con l’ausilio dell’analisi profilometrica e del SEM, al contrario, non subisce alterazioni dopo trattamento sbiancante.
7. Riassorbimento cervicale associato allo sbiancamento del dente non vitale qualora non si allestisca un opportuno isolamento.
Prodotti sbiancanti fluorati
Il potere sbiancante dei prodotti arricchiti con fluoro non risulta compromesso rispetto ai prodotti tradizionali, né tanto meno la fluoroprofilassi post sbiancamento è in grado di inficiare il trattamento stesso. La remineralizzazione dello smalto trattato con agenti sbiancanti inoltre avviene più rapidamente e l’entità della perdita di sostanza dura è minore; pertanto i denti esposti a sbiancamento fluorato presentano maggiore resistenza alla dissoluzione acida (carie) rispetto ai denti non affatto sbiancati. L’applicazione topica preliminare di vernici al fluoro, dal canto suo, è efficace nel ridurre la disidratazione della dentina durante lo sbiancamento e quindi l’ipersensibilità.
Profilo di sicurezza
I parametri di sicurezza degli agenti sbiancanti vengono definiti secondo gli effetti rilevati sui tessuti duri dentali, l’organo pulpodentinale, i tessuti molli orali e in caso di ingestione del prodotto in ambito di sbiancamento extracoronale del dente vitale. Riguardo ai tessuti molli, l’attenzione è rivolta ai potenziali effetti tossici dei radicali liberi rilasciati dai perossidi in grado di reagire con proteine, lipidi e acidi nucleici, provocando danno cellulare. Il perossido di idrogeno è pertanto una molecola che a concentrazioni pari o superiori al 10% può risultare citotossica ed avere capacità potenzialmente lesiva sulle mucose e sulla pelle, provocando sensazione di bruciore. I rischi relativi a tali lesioni sono prevalentemente riscontrabili nel caso di sbiancamento professionale alla poltrona, eseguito generalmente con prodotti veicolanti perossido di idrogeno al 25% o più, qualora non si provveda ad un’adeguata protezione dei tessuti gengivali. Nessun rischio per la salute orale e sistemica risulta, al contrario, associato allo sbiancamento professionale domiciliare, eseguito con prodotti approvati dall’ADA contenenti perossido di carbammide al 10% (equivalente a 3,5% di perossido di idrogeno). Nel caso dei tessuti duri, i rischi includono l’aumento temporaneo della sensibilità dentinale registrabile nelle prime fasi dello sbiancamento, la cui entità varia a seconda della concentrazione di perossido e del tempo di contatto. E’ opportuno sapere, a tal proposito, che il perossido attraversa facilmente sia smalto che dentina dopo i primi 5-15 minuti di applicazione. Tuttavia non vi sono evidenze di danno a lungo termine a carico dell’organo pulpodentinale (inattivazione enzimatica) in tutti i casi di corretta esecuzione della tecnica. L’incidenza e la gravità della sensibilità sembrano dipendere dalla qualità del prodotto, dalla tecnica scelta e dalla risposta individuale allo sbiancamento.
Successo dello sbiancamento
La durata del trattamento e le aspettative sul risultato dipendono dall’eziologia delle macchie (difetti genetici o di sviluppo, cambiamenti relativi all’età, colorazioni estrinseche, aspetti intrinseci) e dalla diagnosi, così come dal prodotto scelto e dalla modalità di applicazione. In generale, le macchie scure rispondono bene allo sbiancamento, mentre le macchie bianche non subiscono cambiamenti, sebbene tendano a risultare meno evidenti perché il contrasto con i denti vicini si attenua. Utilizzando la tecnica dei trays (mascherine individuali), i denti normalmente sbiancano in un tempo compreso tra 3 giorni e 6 settimane. Le macchie di nicotina possono impiegare 1-3 mesi e le macchie da tetracicline 2-6 mesi o più di applicazione notturna. Il tipo di macchia ed il colore iniziale del dente vanno tenuti in considerazione; le pigmentazioni localizzate al colletto dell’elemento dentario, quelle di colore grigio scuro o blu e le discromie severe da tetracicline sono difficili da trattare.
– Indagini preliminari: un esame clinico endorale completo delle radiografie necessarie rappresenta lo strumento che ci consente di formulare una corretta diagnosi e di utilizzare i prodotti sbiancanti in condizioni di sicurezza ottimale. Deve pertanto sempre precedere il trattamento sbiancante. La raccolta di informazioni utili (pregressa o attuale ipersensibilità dentinale, presenza di ricostruzioni, disfunzioni temporo-mandibolari, allergia al lattice, al silicone e a sostanze sbiancanti) ci può guidare nella scelta della metodica da preferire per ciascun paziente.
– Scelta del prodotto: l’agente sbiancante ideale dovrebbe essere formulato a pH neutro. Il perossido di carbamide risulta più efficace durante le ore notturne in quanto l’urea provoca l’innalzamento del pH ai valori desiderati. Il perossido d’idrogeno presenta basso pH e breve durata d’azione. Pertanto le formulazioni sbiancanti contenenti perossido di idrogeno richiedono minor tempo di contatto ma un maggior numero di applicazioni e quelle contenenti perossido di carbammide impiegano pochi giorni ma esigono un maggior tempo di contatto. La scelta del prodotto, dunque, va confrontata con le abitudini e lo stile di vita del paziente, oltre che con l’eventuale ipersensibilità dentinale, il tipo di macchie e la presenza di lesioni cariose.
– Ritrattamento: la necessità di un ritrattamento può variare notevolmente da 1-3 anni fino a più di 10 anni di distanza dallo sbiancamento iniziale.
Sbiancamento dei denti vitali
Lo sbiancamento esterno (extracoronale) viene realizzato applicando sulla superficie del dente da trattare il principio attivo in grado di diffondere all’interno dei tessuti duri, senza apportare danni enzimatici all’organo pulpodentinale. Dopo aver attentamente isolato i tessuti molli, l’agente sbiancante può essere adattato alla superficie da trattare.
Di seguito è illustrato un caso di sbiancamento domiciliare della sola arcata superiore con perossido di carbammide al 15% per 3 notti per evidenziare il miglioramento cromatico; successivamente la paziente, soddisfatta del risultato conseguito, ha effettuato il medesimo trattamento all’arcata mandibolare.
– Trattamento professionale alla poltrona: rappresenta la metodica di sbiancamento più comunemente seguita dagli operatori, richiede breve durata e garantisce risultati evidenti già dopo una sola seduta. E’ indicata per il trattamento della pigmentazioni generalizzate delle arcate dentarie o limitate ad aree specifiche di un singolo elemento dentario, come in caso di alcuni tipi di fluorosi, e può essere monitorata dallo specialista per tutto il corso del procedimento. Ha inoltre il vantaggio di poter essere interrotto in qualsiasi momento.
Indicazioni
· pigmentazioni acquisite o di sviluppo
· pigmentazioni dello smalto e della dentina
· pigmentazioni giallo-brune
· pigmentazioni giallastre relative all’invecchiamento
· pigmentazioni da tetracicline di entità lieve-moderata (degradazione delle strutture chinoniche insature)
Controindicazioni
· pigmentazioni severe da tetracicline
· ipoplasia ad aspetti fissurati
· denti con incrinature e linee di frattura
· denti con estese ricostruzioni estetiche
· patologie in atto (carie, lesioni periapicali, etc)
· denti ipersensibili alla pressione, al freddo, al tatto, ai cibi dolci
· abitudini di vita (fumo di tabacco)
· aspettative inverosimili del paziente
· denti estesamente consumati per attrito, abrasione o erosione
Il trattamento alla poltrona può avvalersi della fotoattivazione con luce alogena, LED o laser e del metodo termocatalitico. Uno studio recente, condotto sulla variazione di temperatura intrapulpare associata a sbiancamento eseguito con perossido di idrogeno al 35%, ha messo in luce che l’attivazione Nd:YAG laser provoca il maggior innalzamento di temperatura (4,325°C) e l’attivazione LED il minore (0,975°C). Facendo riferimento ai risultati di un altro studio relativo agli effetti della variazione termica sulla polpa, è stato dimostrato che un incremento di 5,6°C può causare danni irreversibili (necrosi nel 15% dei casi). Esclusivamente l’applicazione della luce LED può, dunque, essere considerata sicura. Il ricorso a fonti di calore per accelerare lo sbiancamento comporta il rischio di riassorbimento cervicale, pertanto è sconsigliabile.
– Sbiancamento domiciliare: è la procedura di sbiancamento più comunemente riservata ai pazienti, sotto la costante supervisione dello specialista. La sua pratica metodica si avvale di trays individuali (mascherine in silicone morbido) riempiti con un gel veicolante perossido di carbammide al 10% (concentrazione approvata dall’ADA che ne garantisce l’uso sicuro ed efficace), generalmente indossati durante le ore notturne per circa 1-2 settimane.
Sbiancamento dei denti non vitali
Lo sbiancamento intracoronale coinvolge la porzione coronale di elementi dentari trattati endodonticamente per rimuovere pigmentazioni intrinseche legate a emorragia pulpare, incompleta rimozione del tessuto necrotico, uso di materiali per il riempimento canalare a base di eugenolo o sali d’argento. Tale metodica si presenta semplice, conservativa, con vantaggioso rapporto costo-beneficio e risulta efficace anche dopo molti anni dalla terapia canalare o dalla comparsa della discromia. Dopo aver rimosso i materiali da otturazione endodontica dalla camera pulpare ed aver allestito una accorta protezione con materiali adesivi (cemento vetro-ionomerico) posti 1-2 mm apicalmente al margine gengivale libero, può essere alloggiato l’agente sbiancante capace di diffondere all’interno dei tubuli dentinali ossidando e sbiancando i pigmenti presenti. E’ importante verificare la presenza di eventuali residui di tessuto nella camera pulpare che devono essere attentamente rimossi, onde evitare la formazione di macchie a terapia sbiancante terminata. La giunzione amelo-cementizia, inoltre, rappresenta la zona di più facile esposizione dei tessuti parodontali, pertanto va opportunamente protetta dal contatto con sostanze chimiche e dal calore. Il successo della terapia dipende principalmente dall’eziologia, dalla diagnosi corretta e dalla scelta della tecnica appropriata a ciascun caso.
Lo sbiancamento intracoronale è definito anche “walking bleach” (l’agente sbiancante è lasciato in situ per alcuni giorni) è attualmente considerato il metodo di elezione in quanto richiede minor tempo alla poltrona, è più sicuro ed è più confortevole per il paziente.
Di seguito è illustrato un caso di sbiancamento di dente non vitale (elemento 21) trattato mediante abbinamento di sbiancamento professionale alla poltrona (miscela di perborato di sodio mono-idrato e perossido di idrogeno al 35% equivalente a 130 volumi) e walking bleach (perossido di carbammide al 30%).
Agente sbiancante
· Perossido di idrogeno (35%)
· Perborato di sodio mono-, tri- e tetra-idrato
· Perossido di carbammide
Usati da soli o miscelati tra loro. Il perossido di carbammide al 37% è dotato di ottime capacità di penetrazione della dentina, sebbene alteri lievemente la micro durezza delle pareti dentinali esterne. Il perborato di sodio mescolato con perossido di idrogeno al 30%, al contrario, non penetra tanto profondamente la dentina e non ha effetti sulla micro durezza. L’associazione del principio attivo con una sorgente di calore, inoltre, è sconsigliabile per evitare complicanze e danni post sbiancamento.
indicazioni
· pigmentazione di origine pulpare
· pigmentazione della dentina
· pigmentazioni che non rispondono al trattamento extracoronale
controindicazioni
· pigmentazioni superficiali dello smalto
· anomalie di sviluppo
· ingenti perdite di tessuto dentinale
· presenza di lesioni cariose
· otturazioni pigmentate
reazioni avverse
· riassorbimento cervicale
· aumento della permeabilità dentinale
· indebolimento delle proprietà fisiche dei tessuti duri
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